Se ne sente parlare già da molti anni nei paesi anglosassoni, in Australia, in Canada, ma anche dalla Cina.
Che cosa è l’appropriazione culturale, “cultural appropriation” in inglese, e perché le doule dovrebbero farci attenzione?
Secondo il metropolitan magazine, in un articolo di qualche settimana fa, l’appropriazione culturale è “l’utilizzo e adozione di strumenti, simboli e immagini di una cultura non propria” [qui l’articolo molto interessante riguardo alla questione dell’appropriazione culturale nel mondo della moda].
Secondo Julia Jones di Newborn Mothers, in un articolo di cui riparlerò qui più avanti,
“l’appropriazione culturale è quando qualcuno prende qualcosa da un’altra cultura, di solito senza chiedere il permesso e senza corrispondere alcun riconoscimento né pagamento, in particolare quando la persona che prende si trova in una posizione superiore di potere e privilegio.”
Eccesso di zelo?
Non se sono le persone stesse, provenienti dalle culture derubate dei propri rituali e simboli, a farlo notare e a condividere il loro dissenso.
Nel mondo delle doule purtroppo si cade facilmente nella trappola dell’appropriazione culturale anche se ovviamente senza volerlo, spesso proprio attraverso le scuole di doule e i vari corsi di formazione e workshop.
Purtroppo sono stata io stessa colpevole negli anni 2000 della diffusione in Italia di pratiche rubate che mi erano arrivate da doule francesi e anglosassoni. L’idea era che condividere riti, simboli e rituali appartenenti ad altre culture potesse aiutarci a capire e vivere meglio la maternità, e la questione dell’appropriazione culturale purtroppo non ce la siamo posta.
Ora quindi cosa si può fare?
La prima cosa da fare è farci caso e diffondere cultura intorno a sé in modo che le cose possano cambiare.
Prima di tutto quindi imparare a riconoscere l’appropriazione culturale, informarsi quando abbiamo il dubbio che qualcosa possa rientrarci, chiedere modifiche ai programmi dei corsi, workshop, articoli scritti in modo da rispettare le culture derubate.
Come minimo, non si dovrebbe più scrivere o proporre workshop senza dare attribuzione alle culture da cui provengono quei riti o quegli oggetti, spiegandone il reale significato e l'importanza per tale cultura. Ma attenzione, dare l’attribuzione non deve diventare un modo per lavarsene le mani. L’autorizzazione andrebbe sempre chiesta, informarsi è sempre la prima cosa da fare.
Un esempio forte è quello dell’uso della parola “blessingway” o “blessing way” nella nostra pratica come doule.
Julia Jones spiega in questo articolo come nel 2004 delle donne indigene del Canada scrissero agli editori del Canadian Women’s Health Network chiedendo che il termine 'Blessingway' non venga più utilizzato per descrivere cerimonie prenatali non di cultura Navajo. Consiglio vivamente la lettura dell’articolo in cui Julia comunque specifica:
“E quindi non si potranno più organizzare cerimonie di buon augurio per le mamme in attesa? Certo che sì!
È bellissima l’idea di celebrare la madre con rituali e riti di passaggio. Basterà ricordarsi di usare il termine maggiormente appropriato di Mother Blessing”
[come richiesto da chi si sente leso, invece dell’uso della parola Blessingway].
Un altro esempio anche se non proprio del mondo delle doule ma comunque in un ambito affine è quello del Bei Dai o Meh Dai (conosciuto come Mei Tai), il portabebè cinese che negli anni 2000 si è diffuso anche in Italia. In questo caso, la protesta è arrivata perché il nome del portabebè è stato storpiato e c’è stata proprio la richiesta che, se proprio vogliamo usare uno strumento che arriva da un’altra cultura, almeno venga chiamato con i suoi nomi corretti che sono Bei Dai o Meh Dai (quando ne parlo uso comunque sia il nome storpiato che quelli corretti perché nei negozi online si trovano ancora con il nome Mei Tai, mentre solo pochi marchi hanno deciso di usare i nomi corretti).
Allego immagini di cui purtroppo non sono riuscita a ritrovare la fonte.
Altro esempio è quello del Rebozo, molto utilizzato negli Stati-Uniti ma attenzione, le cose arrivano sempre anche da noi, anche se con tempi più lunghi. Qui il post Instagram di Mayte Noguez su questo argomento (nota: sembra sia stato cancellato il post), e la petizione a cui si riferisce, in cui si può leggere che
"il Rebozo è un prodotto tessile sacro che è stato creato e preservato dalle comunità indigene del Messico e dell'America centrale e Sud America. Si tratta di una parte preziosa della nostra cultura e riteniamo che la sua rappresentazione attuale nel mondo della nascita non rifletti questo aspetto".
Sul Rebozo ho letto anche altri tipi di proteste, come quella che riguarda l’uso improprio del termine “Rebozo” negli Stati-Uniti per designare impropriamente anche altri tipi di fasce portabebè.
Importante Update sulla questione dell'uso del Rebozo da parte delle doule: Rebozo petition creates repercussions for mexican artisans (consiglio di leggere l'articolo fino in fondo)
Nota: Scambiare (secondo accordi economici e non) tra culture che hanno pari diritti è lecito. Prendere, gratuitamente, da culture oppresse è appropriazione culturale.
Se vuoi approfondire ascoltando qualcosa di interessante sull'argomento, ti suggerisco questa puntata del podcast Vincibili: Furto di identità: l'appropriazione culturale.
Ma non potrei finire questo brevissimo accenno al concetto di appropriazione culturale senza evocare il dilemma che pone la stessa parola “doula”, quella con cui io e moltissime colleghe ci definiamo ogni giorno.
L’uso della parola doula non è una scelta condivisa da tutte le persone che svolgono il lavoro di attenzione e cura alla mamma in attesa e alla neomamma.
Possiamo parlare di appropriazione culturale in questo caso? Per le informazioni a cui ho accesso per il momento, più che un problema di appropriazione culturale, il termine presenta un problema di non corrispondenza con la parola greca ‘doula’ oggi ancora collegato al suo antico significato di ‘schiava’.
Ho raccontato come Dana Raphael iniziò ad usare la parola doula per parlare della donna che avesse il ruolo di aiutare una neomamma per la buona riuscita dell’allattamento al seno.
Poi Klaus e Kennel diffusero l’uso di questa parola per descrivere il ruolo della donna che sta accanto ad un’altra donna durante il parto.
E da lì si diffuse la parola doula nella sua accezione moderna, che ha poco in comune con la sua accezione antica, se non il fatto che
“la doula dell’Antica Grecia era lì per ascoltare la madre e assecondare i suoi desideri, offrendo i suoi servizi e la sua esperienza di vita, rimanendo però consapevole dell’umiltà che richiedeva la sua posizione”
come possiamo leggere in questo articolo importante e completo “A research into the ‘birth of a word’ and differences in meaning” apparso nell’International Doula Journal nel 2013, in cui si cerca di capire se sia giusto usare questo termine oggi oppure se non sia meglio usare altri termini e quali...
Paramana, comadre, custode della nascita, mother assistant…
Anche Marzia Bisognin, nell’episodio 2 della sua Storia delle doule in Italia, evoca la richiesta delle doule greche di usare un nome diverso da quello di doula, ma ci racconta anche come questo ruolo abbia anche delle sue origini Italiane, legate a Maria Montessori, che incentivò la formazione di “assistenti alla madre” per prendersi cura della neomadre e del nascituro dalla gravidanza fino a tutto il puerperio…
Io mi rifaccio quindi alla ricerca pubblicata nell’International Doula Journal linkato qui sopra e, di fronte a una questione complessa come questa, decido di continuare a chiamarmi doula, rimanendo però attenta al contesto internazionale e ad eventuali sviluppi.
Non mi conosci?
Mi sono formata come doula presso l’Associazione Eco Mondo Doula nel 2008, ottenendo poi la certificazione di professional post-partum support con Joy in Birthing & Bumi Sehat nel 2015 e quella di Newborn Mothers Postpartum Professional con Newborn Mothers Australia nel 2018. Dal 2013 sono socia dell'associazione Mammadoula.
Sono anche peer counselor in allattamento, avendo seguito il corso base secondo il modello OMS UNICEF nel 2016. Ho seguito poi anche il corso avanzato nel 2017, il corso sull'allattamento dei gemelli a inizio 2021, e infine un ulteriore corso di approfondimento di 35 ore sulle difficoltà in allattamento nel 2022.
Altri corsi che fanno di me la professionista che sono oggi includono: “Promozione della salute, dell’allattamento e della genitorialità responsiva nei primi 1000 giorni con un approccio transculturale” (Istituto Superiore di Sanità), “Home Visiting - Supportare le famiglie per il benessere dei bambini da 0 a 3 anni”, formazione consulente Babywearing, Becoming Us professional workshop, Primo soccorso pediatrico, Workshop babysigns Italia.
La doula è unə professionista operante nel settore del sostegno alla genitorialità e offre il suo sostegno emotivo, pratico e informativo alle donne e coppie durante la gravidanza e il post-parto. Non si sostituisce all'ostetrica e non possiede alcuna formazione medica.
Nella mia pratica come doula e peer counselor in allattamento mi avvalgo della collaborazione con la consulente IBCLC Micaela Notarangelo o di altre consulenti professionali in allattamento presenti sul territorio ogni volta che lo ritengo necessario per la buona prosecuzione dell'allattamento delle mie clienti.
Comments